Marco Parente, personaggio schivo, distante dai clamori del rock business, dello show biz più becero e bieco, è un artista che ama esprimersi attraverso testi pregevoli e musiche raffinate, che per questo forse lo tengono lontano dal grande pubblico ("Non voglio conquistare la notorietà - afferma - ma la visibilità, così che sia poi chi ascolta a scegliere").
Ora con Testa, dì cuore, il nuovo disco, il secondo da solista, si ripresenta confermando le sue caratteristiche e soprattutto l'elevata qualità artistica della sua musica.
Tu sei nato come batterista, come è avvenuto il passaggio a cantante?
Mi trovai a fare il batterista per caso, anche se ho una predisposizione al ritmo. In realtà per il modo in cui mi sono avvicinato alla musica non esistevano dei ruoli così netti, c'era più un approccio viscerale piuttosto che tecnico, per cui sono un polistrumentista. Con il tempo ho scoperto anche il fascino del cantare, ovvero del protagonismo, del poter dire direttamente ed in prima persona ciò che avevo da raccontare.
Le tue canzoni, dunque, in qualche modo ti raccontano?
Assolutamente si. Non sono delle storie classiche con un personaggio in prima o in terza persona, bensì degli spaccati di sensazioni o di emozioni, molto concreti, a tratti critici verso me stesso e gli altri. Non voglio arrogarmi mai il diritto di dire che è giusto e ciò che non lo è. Un'altra cosa che non amo sono gli slogan.
L'album è diviso di netto in due parti, quasi a rammentare l'idea del lato A e del lato B.
La separazione fisica tra i due lati ti obbligava ad una pausa che in questo caso è data da due differenti momenti musicali uniti da una canzone, Testa, dì Cuore. Il primo lato è quello della testa, il secondo quello del cuore, quindi con atmosfere differenti ed appunto la canzone che da anche il titolo all'album, non a caso, fa da cerniera tra le due parti. Questo brano peraltro in origine non c'era, è nato successivamente e l'ho voluto registrare in diretta proprio per rafforzare il concetto di cuore, ovvero sei musicisti in circolo che lasciano fruire le loro emozioni e sensazioni.
Come mai questo titolo all'album?
"Dì" è da intendersi come l'imperativo di dire. Più che nell'isolare la testa e il cuore, tendo ad unirli. Non è però solo un invito a ragionare con il cuore, perché ritengo che sia in ogni caso la testa a dettare legge.
Come racconteresti la tua musica?
Non credo di fare delle cose astruse o sperimentali e fini a se stesse. Penso di muovermi, anche se in maniera sovversiva, all'interno di una struttura pop, avvero di una canzone. Quest'album sarà una crociata in quanto si tratterà di conquistarsi a morsi degli spazi ed un credito particolari. Non va bene considerare la mia musica come un qualcosa di "estremo", destinato a poche persone come non è corretto mettermi su un piedistallo e dire che sono un esempi di musica di qualità. E' necessario considerare la musica per tutti, di qualsiasi tipo essa sia, senza destinarla a priori ad un certo pubblico.
Rock, Cantautore, Canzone d'autore o rock d'autore. Quale di queste tre definizioni senti più tua?
Penso di essere un cantautore nel senso letterario del termine anche se il mio background non arriva da lì, anzi. Ripeto, lavoro nell'ambito della forma canzone, anche se la rigiro, la spacco e la rielaboro. In questo modo c'è un'apertura, non credo che ci sia in Italia un disco così. Per cui è difficile inquadrare la mia musica in modo univoco. Forse è la canzone d'autore che si sta rinnovando.
Ritieni di fare della poesia con le tue canzoni?
Assolutamente no. Non ho né l'interesse né l'intenzione di confrontare poesia e canzoni, sono due discipline ben distinte e separate che non vanno mai paragonate tra loro, sarebbe come confrontare o accostare il cinema e la musica o la pittura e la scultura.
Un concept album? Azzardiamolo e diciamolo! Non nel senso che c'è una storia ad unire tutti i brani, ma piuttosto l'idea è rivolta alla musica ed alle sensazioni, il concept si basa su questo. (Marco Parente)
|